Sostegno familiare
Il rugby in famiglia e la familiarità del rugby: questa volta vorrei parlare del senso di famiglia che si sta costruendo intorno alla squadra di Magoanine B.
La continuità è fondamentale, sia nel gioco sia nella vita fuori dalle partite. Esserci sempre e con costanza, dare continuità allo Stare e allo stile di presenza nel territorio e nella relazione con le nostre atlete, sempre più numerose – abbiamo superato i 50 iscritti ufficialmente, senza contare la decina che viene ogni tanto – è fondamentale nella costruzione di un senso di appartenenza alla grande famiglia del rugby.
Essere rugbiste a Magoanine B sta diventando un’identità, un ruolo in cui riconoscersi e un gruppo di cui far parte. Le nostre bambine, e bambini, si stanno prendendo molta cura del gruppo e dell’appartenenza ad esso in una maniera estremamente inclusiva: con gli allenatori, con Alessandro e Ulisse quando sono venuti a trovarci, con i nuovi bambini da integrare nella squadra, con le loro famiglie, con gli atleti delle altre squadre della città. Coinvolgono e sono coinvolte, praticano la cosiddetta partecipazione attiva, e fanno un gran casino, è vero, ma è un casino pieno d’amore.
Inseguono l’ovale e tutto quello che ciò comporta. Il loro è un esserci responsabile, si assumono dei compiti e degli incarichi di gestione comunitaria della squadra affinché possa continuare a esistere e a migliorarsi. Ed è così che si diventa una grande famiglia – a partire dal fatto di essersi date un cognome di squadra che è “Mbunha”, e ogni volta che terminano una partita entrano in campo a ballare a ritmo di “danza famiglia Mbunha!” – una grande famiglia dove ciascuno ha un ruolo e una preoccupazione che riguarda la collettività, dove l’organizzazione è gestita un po’ da tutti.
Abbiamo dei problemi con i trasporti, per esempio, e siccome andare al campionato in città con i mezzi pubblici è una gran fatica (sono circa 2 ore a viaggio), le ragazzine stanno cercando degli autisti di pulmini della zona che possano accompagnarci in città a prezzi stracciati. Nelle ultime settimane mi hanno già dato tre contatti differenti!
Cinque di loro l’altra settimana si sono portate a casa tutte le pettorine per lavarle – a mano, mica c’hanno la lavatrice qui – e stanno insistendo per lavarsi la divisa dopo ogni partita – per ora lo faccio io per tutti, e invece loro dicono “treinadora Irene non preoccuparti, lo possiamo fare noi”. All’ultima partita gliel’ho lasciato fare e allora lì ho compreso la grande strategia di queste ragazzine nascosta dietro ai lavaggi: intanto, per loro è un orgoglio rientrare in quartiere indossando le maglie della squadra, sfilare per le strade di sabbia con la maglia del rugby e dire “siamo andate in città a giocare”. È un orgoglio poterle portare anche in casa, in mezzo ai vari cugini zie e mamme che vivono sotto lo stesso tetto, per vantarsi e dimostrare che si sta facendo parte di un qualcosa di grande. Chè l’altro giorno una mamma ha commentato, “se lavassero l’uniforme della scuola con lo stesso entusiasmo con cui lavano le magliette del rugby…”
E ancora di più, si sono fatte furbe e hanno usato la scusa dei lavaggi per fare una grande pubblicità della squadra, e il lunedì seguente agli allenamenti mi hanno portato 8 bambini nuovi di zecca. Perché sì, le ragazze sono preoccupate per l’anno prossimo, molte di loro passano di categoria e allora bisogna già cominciare a creare una under14 che abbia gli stessi orari di scuola, e allora stanno chiedendo a tutti i vicini della zona, vuoi venire a giocare a rugby? E siccome i palloni e i conetti stanno a casa di una di loro, la domenica montano un campo per la strada e si mettono a giocare, fanno le dimostrazioni per attirare l’attenzione di nuovi bambini e insegnano le regole basiche del gioco: il passaggio all’indietro, la meta, e il placcaggio, che è la loro parte preferita.
Sembra anche che questo entusiasmo stia contagiando alcuni genitori: in un paio mi hanno chiesto di parlare della scuola con le ragazzine perché sono preoccupati per i voti, e allora è stata una bella occasione per chiedere le pagelle dell’ultimo trimestre e discuterne un po’, al punto che gli allenatori si sono messi a fare le convocazioni per le partite in base ai voti: chi ha troppe insufficienze resta a casa a studiare! Altri genitori mi hanno chiamato, di nuovo preoccupati, quando hanno saputo che uno degli allenatori, Dariva, si è infortunato e volevano il suo numero per fargli gli auguri e sapere come stava. E io l’ho trovata una preoccupazione proprio familiare.
Abbiamo avuto il primo papà a fare da accompagnatore della squadra a una giornata di campionato, e alla sera mi ha mandato un sms con scritto “foi muito belissimo”, ed io ero così contenta.
Un’altra mamma, all’ultima partita ha preparato una torta per il compleanno di una delle ragazzine, e così adesso è diventata un’usanza della squadra: fare torte per i compleanni. Figurati quando è il compleanno degli allenatori: mercoledì ho dovuto portare agli allenamenti 3 chili di farina e una busta di cacao, perché vogliono fare una sorpresa al festeggiato e offrirgli la torta durante il campionato. Solo che mica possono fare la torta solo per lui, mi hanno detto, ci sono anche i bambini delle altre squadre, e allora vogliono farne sei di torte. Delle mamme le aiuteranno, hanno già organizzato tutto, treinadora Irene, tu solo portaci la farina. Allora io ho commentato, la farina ve la porto ma voi inventate un’altra canzone per il tifo? “L’abbiamo già fatto” mi hanno risposto. Come si fa a non adorarle?
Gli piace partecipare e giocare, e a noi piace stare con loro, la durata degli allenamenti è quasi raddoppiata perché stiamo lì a chiacchierare e ad abbracciarci e gli allenatori non riescono ad andarsene via, e vogliono fare un altro placcaggio e un’altra azione. Portano loro il materiale in campo e quando noi arriviamo hanno già disposto tutti i conetti per terra, per cominciare subito a giocare. Io aspetto i giorni dell’allenamento con gran trepidazione, come loro.
E per poter continuare ci serve sì il nostro e il loro entusiasmo, ma servono anche delle risorse, e così il mitico Ale si è fatto venire in mente delle idee di sostegno sostenibile in stile Rugbio, che davvero sembra che chi gioca a rugby incontra nuovi amici, ed è così che è nata la storia dei portachiavi. Che Ale ha chiesto, cosa è che si produce di tipico in Mozambico che ci può aiutare a promuovere la squadra di Magoanine? Io gli ho risposto “le noccioline”, ma poi siamo andati al mercato dell’artigianato di Maputo e abbiamo visto uomini a lavorare la paglia e a scolpire il legno, donne a vendere e cucire tessuti, fabbricare gioielli in cocco, animaletti di perline e batik coloratissimi. Ed è cominciata la gara del “possiamo fare…” di idee brillanti e strampalate.
Tra tutte, la più immediata è stata quella del portachiavi in legno con il logo della squadra di Rugbio Magoanine. Piccolo, leggero, facile da trasportare anche in grandi quantità, e costruito da un falegname di artigianato di fiducia, Marcos, grande lavoratore del mercato e uno dei primi amici che ho avuto quando sono arrivata a Maputo per la prima volta. Da tre anni a questa parte, tutti i regalini in legno che ricevono i miei parenti sono fabbricati da Marcos: vassoi, statuette, scatoline, persino una scacchiera con tutte le pedine. E poi io gli mando le foto e i ringraziamenti di chi li ha ricevuti, e lui sempre mi chiede come stanno i miei nonni e cerca di insegnarmi a giocare a dama (ma tanto io perdo sempre).
Allora gli ho presentato Ale con la sua idea e gliel’ha spiegato proprio bene che lui ci stava aiutando, che contribuiva a finanziare un progetto di rugby sociale; e, guarda a caso, Marcos aveva già ben presente l’entusiasmo dirompente e saltellante delle ragazzine della nostra squadra, siccome il mercato è adiacente al campo del campionato e dopo le partite le bambine s’intrufolano nel mercato e vanno a correre e far casino pure lì.
E così gli abbiamo mostrato la foto del logo, abbiamo parlato dei tipi di legno e dei colori, e il giorno dopo ci ha portato un modello:
E Ale gli ha chiesto, ce ne puoi fare duecento? E Marcos li ha fatti. E poi è riuscito a vendergli anche un tavolino e non so quanti altri gingilli, e insomma, qualche giorno dopo Marcos mi ha telefonato gridandomi nell’orecchio, “Irene mi sto costruendo la casa! Sono riuscito a comprarmi i mattoni!” E quindi sono quegli aiuti che si aiutano, non so come dire, ci sosteniamo a vicenda stringendo legami e creando storie familiari dove si lavora insieme per il bene di tutti, e dove quello che dai e che ricevi si mescola in un profondo sentimento di riconoscenza (di gratitudine e di appartenenza). E sì, facciamo proprio la differenza.