Magoanine e l’esercito delle 30 (e dei mille sogni)

Durante l’ultimo anno si è consolidata un’equipe di educatori-allenatori intraprendenti con cui stiamo facendo un bel lavoro, non solo con i bambini ma anche sulla gestione e organizzazione della squadra.

Abbiamo dedicato alla valutazione e progettazione annuale due lunghi incontri che son risultati molto proficui e interessanti.

Una parte del ragionamento era legato al senso del nostro lavoro quotidiano:

Sono entrate nel campo urlando “aohhhzaaa- aohohohozaaaa!” e danzando la hit del momento sparata a tutto volume da una cassa che si portavano sotto braccio.

A vederle arrivare, il coordinatore della Federazione ha detto: “Queste solo possono essere le guerriere di Magoanine”. E così ha capito.

Sono fortissime, ste ragazze. Anche agli allenamenti i bambini protestano con gli allenatori: “I capitani che scegliete per le partite sono sempre femmine!” E l’allenatore risponde: “Perché voi non sapete giocare!” (pedagogicamente parlando, n.d.r.) o con la variante “perché le bambine giocano a rugby veramente”.

Anche i ragazzini della U14 si lamentano quando le ragazzine sono assenti agli allenamenti: “Senza le ragazzine non è divertente!”, e poi invece quando ci sono, fuggono dai loro placcaggi.

Anche alle partite del campionato (dove giocano misti), un sacco di volte sento gli allenatori delle squadre avversarie gridare ai propri giocatori: “Non è possibile che vi fate fare meta da delle femmine!” e io sempre gli grido dietro: “E che femmine!!”

Sono fortissime e al torneo del quartiere hanno avuto un gran successo, vincendo il primo posto con l’U12 con delle giocate fantastiche e con gli abitanti del quartiere che le guardavano e non ci potevano credere.

Io invece credo che stiano dando una lezione di vita a ogni persona che incontrano.

Quest’anno stiamo crescendo, in tutti i sensi. L’anno scorso, il primo, è stato l’anno di decollo; l’anno delle prime volte, degli entusiasmi vergini, della spontaneità degli eventi, degli imprevisti dovuti all’inesperienza che ti prendono in pieno nei denti e degli imprevisti dovuti alla “mozambicanità” incalcolabile degli avvenimenti che solo ti fanno sospirare mentre aspetti che passino. L’anno delle novità, delle occasioni che sorgono dagli eventi senza che ce ne accorgessimo, della famosa “fortuna del principiante” che ci ha assistito tutte le volte che abbiamo preso decisioni avventate, l’anno pieno di facce nuove e del conoscersi a poco a poco, del far toccare, a molti, un pallone di rugby per la prima volta nella loro vita. L’anno di inserimento in un contesto che non ci conosceva, che non sapeva, e però manco noi conoscevamo troppo bene le strade del quartiere, e manco noi sapevamo cosa sarebbe nato da questo spontaneo avvicendarsi di placcaggi e di abbracci.

L’anno scorso è stato la rampa di lancio; adesso siamo in volo. Cresciamo, non solo in numero, ma in presenza che si radica nel territorio e diventa uno stile di stare, di esserci nel quartiere tra il campo, le famiglie e la scuola. Cresce il coinvolgimento degli allenatori e l’impegno dei ragazzini e ragazzine, i quali oltre che d’impegno crescono anche di età e di statura, e il fatto che le nostre crescite individuali e collettive coincidano, fa sì che l’amore e il compromesso che esiste tra le persone e la squadra sia forte e reale, e circolare a tal punto da far confondere quale siano le scintille e quali le mete.

Quel pallone che a tutti sembrava un grosso pezzo di pane, un uovo di drago, o un enorme polpetta di fagioli (queste le interpretazioni più gettonate), è ora riconosciuto dalla maggioranza come palla di rugby (scritto e pronunciato nelle più svariate maniere).

Quest’anno, quando andiamo nella scuola del quartiere a fare le lezioni di prova, alla domanda “Dove avete già visto questo pallone?” i bambini rispondono “aqui”, e quel “qui” è una delle maggiori soddisfazioni dell’anno, perché vuol dire che per i bambini di Magoanine B il rugby non è nella televisione, non è quello sport giocato in Sudafrica, non è quella palla strana che vendono al centro commerciale in centro. Per loro il rugby è qui, è nostro, è identità e appartenenza, è ora, è già stato e sarà ancora. Giocare a rugby è diventato parte dei percorsi immaginabili e del ventaglio di possibilità a disposizione dei bambini e dei giovani del quartiere. È uno stile di presenza, un collante collettivo che crea identità di gruppo, l’appartenenza a qualcosa che sta succedendo adesso e che stiamo creando con le nostre mani e con i nostri passaggi, con i bambini e le bambine come protagonisti del principio di una nuova storia. Essere portatori di un incipit è una grande responsabilità, ma anche una bellissima e intensissima esperienza che li tiene legati tra loro e al pallone ovale – non posso negare che i ragazzini e le ragazzine che giocano a rugby se la tirano un po’, per le strade del bairro. L’esperienza che abbiamo è molto breve, ma siamo stati così presenti e travolgenti che il rugby nel quartiere fa già parte del passato di qualcuno (“Pure io l’anno scorso giocavo”), è presente per altri (“Sono una giocatrice di rugby, io”), è rassicurazione per il futuro per alcuni (“Cosa sarebbe di me se non potessi più giocare?”), è un’esperienza desiderabile (“Vorrei giocare anch’io”) e un orizzonte immaginabile (“l’anno prossimo vengo ad allenarmi con voi”).

Questa è l’incipit che abbiamo cominciato a scrivere a Magoanine B, questa è la storia che fa di noi dei rugbisti e questi siamo noi, rugbisti che fanno di questa storia una grande famiglia di rugby, accogliente e con mille sogni per il futuro.

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