Quando il gioco si fa duro, le dure cominciano a giocare

Nella scuola primaria di Magoanine B si è sparsa la voce che il rugby è uno sport da femmine. Gli alunni maschi si rifiutano di venire ad allenarsi perché dicono che il rugby è una cosa da femmine. Per cui, alla prima nostra partita di campionato, Magoanine si è presentata con due squadre composte da 18 giocatrici e 2 giocatori. Siamo entrate nel centro sportivo cantando e saltando. Le altre squadre ci guardavano con degli occhi grandi così.

Femmine e fiere. Uno spettacolo. Per cui, per una volta, anche la grammatica si piega alla predominanza femminile, e già siamo diventate “as meninas de Magoanine”, le ragazzine di Magoanine, e poco importa se nel mezzo ci si ficca anche qualche maschietto, ormai siamo la squadra delle ragazze (quando invece, di solito, basta che in un gruppo ci sia solo un uomo che già tutte le parole si piegano al maschile).

Ma andiamo con ordine.

In verità, il terzo campionato della città di Maputo è cominciato a febbraio, ma noi a Magoanine “acabavamos de começar”, come si dice qui: “finivamo di cominciare”, come se l’inizio non fosse un punto ma un processo (e, di fatto, c’hanno proprio ragione). E, sempre come si fa qui, le cose s’impara a farle con calma: per cui i tre allenatori hanno chiesto tempo prima di inserire la squadra nel campionato. Con calma si introducono le bambine nel mondo del rugby, si strutturano gli allenamenti, ci si conosce meglio, si fortifica l’abitudine e si crea lo spirito di squadra.

Perché questo accada, è necessario anche – mi hanno ricordato un giorno i tre allenatori – incontrare i genitori delle atlete. Così finalmente, a fine maggio, abbiamo convocato la prima riunione con i genitori o, come si chiamano qui, gli “encarregados de educação” e cioè chi, nella famiglia, è responsabile dell’educazione del minore (è molto comune che i bambini vivano con i nonni o altri parenti invece che con i genitori). Era l’occasione per presentarci, per far conoscere alle famiglie il rugby e creare un primo momento di loro coinvolgimento nella squadra.

Ci siamo trovati sotto il nostro albero nel campo della scuola alle 8 del mattino di un lunedì, con tutte le ragazzine e i loro “encarregados”. Gli allenatori hanno cominciato la riunione dicendo così: “Ringraziamo le famiglie qui presenti per la cieca fiducia che ci avete dato mandando le vostre figlie ad allenarsi con noi per tutti questi mesi senza sapere chi fossimo e cosa facessimo”.

Poi hanno mostrato i palloni, hanno raccontato cos’è il rugby e quali valori si porta dietro, qualche papà ha chiesto se può venire ad assistere alle partite e hanno elogiato il lavoro che stiamo facendo con le bambine. Abbiamo finalmente consegnato le schede d’iscrizione e le richieste di autorizzazione alle “trasferte” per il campionato, e così ufficialmente Magoanine è entrata a far parte del campionato di rugby della città di Maputo.

Di iscritti ne abbiamo 37, di cui 5 maschi (ma di ragazzette che vengono ad allenarsi ne abbiamo circa cinquanta). Le schede d’iscrizione ci stanno anche permettendo, in piccola parte, di inquadrare la situazione di provenienza delle atlete: alcune per esempio sono senza documenti d’identificazione, altri hanno supposti problemi fisici diagnosticati dalla nonna di turno (“te l’ha detto il medico che sei malato?”, “No, la mia vicina di casa”), altri sono molto più grandi rispetto alla classe che frequentano, un paio hanno portato la scheda bruciacchiata dalla candela perché non hanno l’elettricità in casa, altri ancora si sono compilati e firmati il foglio da sé perché non è ben chiaro chi sia il loro tutore. Tutto un mondo da esplorare, sempre con molta calma, naturalmente.

E così, il 16 giugno abbiamo partecipato alla nostra prima giornata di campionato. Si possono portare 10 giocatori per squadra, e abbiamo dovuto contrattare con il Maputo Rugby Club – organizzatore del campionato – per poter partecipare con due squadre, perché di bambini noi ne abbiamo tanti; due squadre della stessa categoria sono vietate, ma sull’età dei giocatori invece sono più flessibili, quindi abbiamo creato due gruppi divisi per “altezza” invece che per età: le più gracili giocano nei sub10 e le più massicce con i sub12.

Ne abbiamo convocate 20 per il 16 giugno, con ritrovo all’albero della scuola alle 6 del mattino. Con circa mezz’ora di ritardo (chi più, chi meno), se ne sono presentate ventisette; venti i convocati e sette che volevano solo venire a vedere. “Abbiamo i soldi per il trasporto!”, dicevano, e così le abbiamo caricate tutte sull’autobus per andare in città.

È stata una giornata all’insegna delle novità: prime corse coraggiose per sconfiggere la paura del buio alle 5 e mezza del mattino per presentarsi all’appuntamento a scuola; trovare sotto l’albero – non di Natale, ma quasi lo sembra per tutti i regali che ci sta offrendo! – le magliette nuove di Rugbio da indossare, e anche due ragazzi sconosciuti che si dicono accompagnanti della squadra (mano Luis e mano Elias, due giovanotti assistiti dalla Casa Famiglia in cui lavoro e assoldati, per tutto l’anno, come accompagnatori ufficiali della squadra per le trasferte in città); il viaggio nell’autobus di linea stipato di gente, e qui la novità è stata per gli altri passeggeri che hanno dovuto sorbire ventisette ragazzine che hanno cantato per tutto il viaggio, e cioè per un’ora buona; catapultarci, alla nostra fermata, sul marciapiede e cominciare a correre verso il campo (eravamo estremamente in ritardo) senza smettere di cantare, entrando così a grande effetto nel centro sportivo, con le altre squadre che ancora non ci conoscevano ma che già ci volevano bene; le nostre prime due partite di campionato, l’adrenalina dell’attesa, del viaggio, dello scendere in campo, consumata in 10 minuti di gioco. “Ma come? Abbiamo già finito? Noi vogliamo giocare ancora e ancora!”, protestavano le ragazzine; abbiamo perso (ma questa non è una novità) però con stile e soprattutto con un sacco di seguaci – pare che in 10 minuti di gioco le bambine abbiano fatto una strage di cuori.

Alle otto e mezza avevano già finito di giocare, ma hanno chiesto di restare fino alla fine della giornata di campionato (in ogni giornata si sfidano le squadre di tutte le categorie, dai sub 10 ai senior). Hanno continuato a correre, saltare, giocare e ridere per tutta la mattina travolgendo tutti e tutto ciò che incontravano, dagli arbitri ai giocatori, dagli allenatori agli artigiani del mercato a fianco del campo. Mano Elias e mano Luis, i nostri nuovi accompagnatori, trascinati anch’essi dall’entusiasmo, si sono integrati perfettamente nel gruppo e sono stati proclamati dalle ragazzine come nuovi allenatori, nonostante fosse la prima volta che prendevano in mano un pallone da rugby – che, come ha sostenuto mano Luis alla prima vista dell’ovale: “oh ma sto pallone da rugby è proprio a forma di pane!” e noi non ce la facevamo più dal ridere mentre fingeva di ingoiare il pallone. E, a proposito di pane, ste ragazzine sono talmente eccezionali che a metà mattinata hanno messo insieme le monetine che avevano (tenute nascoste nelle scarpe) per comprare 17 panini e 40 badjia (delle frittelle di fagioli tipiche di qui) e hanno diviso la merenda tra tutti noi. A vederle, dei bambini di un’altra squadra hanno detto al loro allenatore: “anche noi vogliamo fare così”. Incredibili, davvero.

Non contente, prima di andare via abbiamo dovuto discutere una buona mezz’ora perché “zia Irene andiamo in spiaggia a fare il bagno per favoreeeee!”. Però, mi dispiace ammetterlo, questo ho dovuto negarglielo, ma comunque prometterlo per una prossima volta. Sono un torrente in piena, davvero, che coinvolge tutto ciò che incontra. Tutti quelli che abbiamo incontrato, dall’autobus fino al campo, sono rimasti meravigliati dalla potenza di questo gruppo di ragazzine.

Incredibili, davvero (non mi stanco di ripeterlo, né di pensarlo).

A partire da ora, quindi, ogni due settimane circa abbiamo la partita del campionato; la successiva convocazione è stata un’altra commedia, tra pianti dei non convocati e un numero sempre crescente di ragazzine che vengono solo a vedere, tra chi prometteva di cucinare spezzatino per tutti e chi tremava già all’idea di quella corsa nel buio per arrivare all’albero alle 6 del mattino. Persino i due allenatori, quelli veri, Pepe e Dariva, si sono fatti trascinare dall’emozione e a fine allenamento mi hanno dato dei soldi per pagare il trasporto ai non convocati affinché potessero per lo meno venire ad assistere (e questo, signori, è un successo cla-mo-ro-so).

Incredibile, davvero. E, sempre davvero, grazie Rugbio, grazie con tutto il cuore, per il sostegno intercontinentale e per condividere le emozioni che possono scaturire da un pallone a forma di pane.

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